Oggi: l’arringa accusatoria di Manzoni.
Capitolo 6, pp. 137-141
La narrazione degli interrogatori e del processo a Padilla è resa, da Manzoni, con un ritmo quasi sincopato, per il quale accuse e risposte si susseguono senza nessuna nota a commento, in una sorta di riepilogo dell’apparato di fantasie del quale si è sostanziata l’intera vicenda. Allo scrittore non interessa diffondersi sulla condotta difensiva di Padilla, pur avendo a disposizione, come sappiamo, le fonti; questo disinteresse si spiega forse per l’assunto che regge il suo testo fin dall’inizio, che è la dichiarata inconsistenza di tutto l’impianto di accuse. Data la notizia dell’assoluzione, a quasi due anni dall’inizio della vicenda, di Padilla, lo scrittore sceglie invece di rilevare come questa conclusione avrebbe dovuto, retrospettivamente, mettere in dubbio, presso i giudici, tutto l’operato precedente. Si apre così una serie di domande, che hanno il sapore dell’arringa accusatoria dello scrittore nei confronti dei giudici:
“Il Padilla fu assolto, non si sa quando per l’appunto, ma sicuramente più d’un anno dopo, poiché l’ultime sue difese furono presentate nel maggio del 1632. E, certo, l’assolverlo non fu grazia; ma i giudici, s’avvidero che, con questo, dichiaravano essi medesimi ingiuste tutte le loro condanne? giacché non crederei che ce ne siano state altre, dopo quell’assoluzione.” (p. 141)