Rileggendo “I fiori blu”/2: vivere su una chiatta, chiatti chiatti, senza aspettare aggiornamenti di stato

Il Duca d’Auge s’addormenta, e dal sonno si scuote con gesti lenti l’abitatore di una chiatta in riva alla Senna, il pigro Cidrolin. Come tutti i pigri ha rituali precisi e accidiosi, tanto per cominciare (s)gradisce il cibo che gli viene preparato da una delle sue figlie. Da bravo pigro, gode dei vantaggi dello star fermo.

E aver la forza di star fermi, tante volte, è una solida virtù. Alla fin fine un punto di forza, Siddharta se n’era acconto ed enumerando le sue competenze (tanto per dirla da moderni) aveva messo il saper aspettare. Altri tempi. Magari adesso, con la velocità compulsiva degli aggiornamenti di stato, le cose sono diverse, e bisogna muoversi comunque, dar riflesso di uno spostamento. Lo chiamiamo “stato”, ma non è e non può essere statico, perché se è statico si imbalsama, e quello che davvero conta è l'”aggiornamento”.  La coerenza è opzionale. E non solo la coerenza, cioè l’elementare correlazione tra le cose che ti sono attribuibili, ma anche la coesione, che lega le cose che dici e fai a un contesto. Puntiforme e sempre attuale, l’aggiornamento di stato rinuncia alla coerenza e punta dritto alla tua pancia. Ai tuoi sensi. Ai tuoi elementari e reattivi istinti.

A Cidrolin capita invece che, stando fermo, la fiera vanitosa del politically correct si mostri per quel che è, ma bisogna appunto, per vederla per quel che è, condividere il suo punto di vista, cioè riuscire un pochetto a stare fermi.

E non è facile. Inevitabilmente, se stai fermo, qualcosa comincia a lavorare dentro di te, e non si tratta solo delle tue parti luminose.

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